domenica 31 luglio 2011

Escursione al monte Croce



 
 
Il monte Croce (945 metri) si trova in provincia di Parma, sulla dorsale che divide la bassa valle del Taro da quella del Baganza. L'ho raggiunto con una breve e comoda passeggiata ad anello, durata circa un'ora, che percorre anche un piccolo tratto dell'antica via Francigena.
L'itinerario comincia da Casola di Cassio, e la strada più breve è la SS62 della Cisa. Proprio a Casola, in prossimità di una curva, c'è un bar-trattoria inconfondibile, molto frequentato dai motociclisti che numerosi risalgono la bella statale: si può parcheggiare qui, oppure proseguire come ho fatto io sulla stradina che scende a sinistra a fianco del bar. Al bivio ignoro Castello di Casola e vado ancora a sinistra, poi alla prima curva mi fermo ad un'insegna della via Francigena con una carraia. Il giro inizia da qui.

La via Francigena è un'antica strada di pellegrinaggio, che collega i luoghi di culto di Canterbury, Santiago e Roma. Valica gli Appennini attraverso il passo della Cisa e il suo percorso in questo tratto è pressoché parallelo alla statale. Nella fattispecie è un sentiero ampio e ben segnato (almeno nel parmense), che mantenendosi sempre in quota regala ampi panorami. Così fin dai primi passi lo sguardo spazia sull'accidentata sagoma rocciosa del monte Prinzera e dietro sulla pianura; e se la giornata è tersa, anche su un buon tratto di arco alpino: non nel mio caso purtroppo.

Incontro presto un sentiero che sale a destra, piuttosto sporco: conviene ignorarlo; dopo non molto invece c'è un nuovo bivio più evidente, ma senza indicazioni. La via Francigena prosegue a sinistra, mentre il sentiero che ci interessa sale a destra. Si tratta ancora di un'ampia carrozzabile (tanto che non è raro incontrare jeep o moto da cross nella zona), che comincia a salire con decisione fra i pini. E' l'unico tratto un po' faticoso del giro, più che altro quando fa caldo, ma non dura molto.

Terminata la salita sono ormai sulla dorsale del monte, e incontro subito un sentiero sulla destra, col segnale per Casola; a sinistra invece compare finalmente il monte Croce, ormai vicino. Subito noto come il versante verso la val Baganza sia più scosceso: adesso i pini sono da quella parte, mentre dall'altra ci sono betulle o carpini, e la strada per un tratto segna il limite esatto dei due diversi boschi!

Uscito dalle piante intravedo la cima del monte Croce, ma oltre alla grande croce che le dà il nome c'è un fuoristrada ed un tizio col decespugliatore, che già sentivo da un po' sigare ma non immaginavo fosse proprio sul cucuzzolo. Scambiamo due parole, e mi dice che ci sarà una festa per ferragosto, e c'è un po' da pulire. In quel ridotto spazio mangeranno? In una decina forse... un po' dubbioso saluto e scendo.

Ripercorro un pezzo di sentiero, poi in prossimità dell'ultimo bivio che avevo incontrato seguo per Casola. Il sentiero rimane largo e pulito, mantenendosi a lungo sul crinale ma immerso nella pineta. Dopo un breve tratto di discesa ripido si esce dalla vegetazione, e da entrambi i lati si aprono panoramici campi: dalla parte di Casola si vede bene dall'alto la strada della Cisa e il bar con tutte le moto parcheggiate.


Il sentiero continua a scendere con decisione, fino a raggiungere un bivio: mantengo la destra, e in breve sbocco su una strada asfaltata, che dopo 2 curve mi riconduce a dove avevo lasciato la moto. Dato che non ci sono ancora stato, decido di fare un salto a Castello di Casola, che si dimostra un borgo piccolo e caratteristico, con le case vecchie vive e ben tenute. In realtà di castelli neanche l'ombra, ma a forza di girare per l'Appennino ci ho fatto l'abitudine: borghetti col toponimo "castello" ce n'è diversi, ma i castelli sono stati distrutti o abbandonati fino a ridursi a ruderi o sparire del tutto.

Ripreso il mezzo motorizzato, per rientrare consiglio di percorrere la val Sporanza: dopo pochi km da Casola si volta a destra, seguendo per Terenzo e Bardone. Il secondo paese vanta un'antica pieve romanica. La strada scende decisa per le colline fiorite fino a ricongiungersi con la provinciale che viene da Calestano: tornato a Fornovo ho compiuto il mio piccolo anello anche in moto!

mercoledì 27 luglio 2011

Escursione sul monte Sillara, 25 - 07 - 2011

Racconto e descrizione dettagliata di un'escursione alla portata di tutti, che permette di conoscere una delle zone più selvagge ed affascinanti dell'Appennino Tosco Emiliano.
La meta è il Monte Sillara, che con i suoi 1861 metri costituisce la vetta più alta della provincia di Parma.
Io sono partito dal passo della Colla, ma consiglio di parcheggiare ai Lagoni: si evitano 3 o 4 km di strada impresentabile e il dislivello da superare è più o meno lo stesso.
Se si sceglie la Colla, si imbocca il sentiero 737, che si inoltra subito tra i faggi e presto comincia a salire sensibilmente. Alcuni tratti sono davvero ripidi, e occorre stare attenti a non scivolare, soprattutto se il terreno è bagnato e le foglie nascondono sassi-saponetta.

Al termine della lunga salita incontro presto un bivio: un sentiero privo di indicazioni ma segnato prosegue dritto verso la cima di Rocca Pumacioletto, dove si ferma; il 737 con l'indicazione per il monte Paitino svolta invece a sinistra, discendendo poco visibile fra le piante di mirtilli.
La ragione per cui consiglio di partire dai Lagoni è che il sentiero è più battuto e meglio segnato, e nel ritorno si eviterà di fare salita; ora infatti il 737 della Colla scende ripido e sporco fino ad incontrare il 711a, che sale appunto dai Lagoni: occorre seguire a sinistra per il monte Paitino.

Dopo un breve tratto si giunge ad un nuovo bivio col sentiero 711 vero e proprio, che a destra scende verso le capanne del Lago Scuro e ancora i Lagoni, mentre a sinistra l'indicazione è per il Lago Verde: vado per la seconda.
Una nuova salita più dolce mi conduce fuori dal bosco, dove sopra la mia testa si erge imponente la parete rocciosa di Rocca Pumacioletto, che di fatto ho aggirato.

 Questa montagna, come le altre che in questo tratto di Appennino si distaccano dalla dorsale principale verso l'Emilia, si distingue per le sue due facce: pendio dolce dalla parte della pianura, aspro dirupo verso il crinale. E' una forma dovuta all'azione dei ghiacci. Lo stesso prefisso “Rocca” che precede i vari nomi sembra sottolineare questo carattere.
Uscito dai faggi sull'erba, il sentiero concede una bella vista sui Lagoni; raggiunta la sella che separa le “Rocche” Pumacioletto e Pumaciolo, il panorama si apre invece sulla valle del Cedra e sulle cime reggiane, fra cui giganteggia l'Alpe di Succiso. E' riconoscibile anche il “panettone” della Pietra di Bismantova.

Qui incontro un bivio importante: a sinistra “rinasce” il 737, con l'indicazione sempre per il Paitino: lo farò a ritorno; dritto invece prosegue il 711, verso il Lago Verde. Nel primo tratto, che torna a scendere nel bosco, devo prestare una certa attenzione ed aiutarmi con le mani per superare alcuni sassoni e radici affioranti. Finalmente esco dal bosco su una pietraia, e davanti ai miei occhi appare uno splendido circolo glaciale, racchiuso fra Rocca Pianaccia e Pumaciolo, e dominato dal monte Sillara. E' questo un luogo poco battuto, in quanto raggiungerlo è piuttosto lungo e faticoso da qualunque parte si arrivi: ma si tratta a mio giudizio della zona più autentica e selvaggia dell'Appennino parmense.

Durante una sosta scorgo un capriolo e riesco a fotografarlo un paio di volte prima che si accorga della mia presenza sulle pietre, fuggendo con fragore.

Riprendo il mio cammino. Ora il sentiero 711 attraversa la vallatina mantenendosi pressapoco sulla stessa quota: si potrebbe soprannominarlo sentiero degli “ometti”, riferendosi alle numerose piccole strutture di pietre sovrapposte che aiutano non poco a seguire la traccia, non sempre visibile. Sconsiglio vivamente di avventurarsi da queste parti col maltempo, siccome è molto facile perdersi e l'unica creazione umana per un lungo tratto sono appunto questi ometti.
Il sentiero attraversa ruscelli e risale enormi pietre, rese lisce dall'azione dell'antico ghiacciaio: essa è anche la causa delle numerose forature rotonde nella pietra, dette mulini, formati dall'acqua penetrata nel ghiaccio: e l'acqua piovana vi si mantiene tuttora a lungo.

Raggiunto il limite della piccola vallata, il sentiero comincia a salire sensibilmente verso la sella di Rocca Pianaccia, a 1712 metri, anch'essa dominata dalla rupe della montagna che la dà il nome.
Da qui il sentiero 711 scenderebbe, difficile da individuare, verso la valle del Rio Frasconi. Un altro sentiero non segnato invece si mantiene in quota per raggiungere i laghi del Sillara, ma è ancora più arduo da trovare e di fatti lo perdo subito di vista. La conca che ospita i laghi comunque è ben visibile di fronte a me, e la punto attraversando radure di alti mirtilli e scavalcando qualche pietra: non avessi perso quei pochi metri di quota dalla sella, il mio cammino sarebbe stato molto più semplice, e probabilmente avrei seguito meglio la traccia del sentiero.
Svalicata una selletta dopo non poca fatica, comunque, la vista di uno splendido specchio d'acqua mi consola.
Fra i tanti bacini naturali che hanno dato il nome al parco regionale dei 100 laghi (ora compreso in quello nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano), quelli del Sillara sono quelli più in alto: addirittura a 1750 metri; ed hanno anche una superficie considerevole.

Oramai il Sillara è vicinissimo. Questa montagna ha almeno tre facce: visto dalla val Parma ha la forma caratteristica di un trapezio regolare; un pendio dolcissimo e uniforme scende verso i
due laghi, mentre un dirupo di almeno 100 metri si getta verticale sul versante toscano: salendo da sud il contrasto fra i 2 versanti opposti è impressionante.

Un ultimo strappo mi conduce sulla cima, a 1861 metri, occupata da un'edicoletta di sassi con dentro una madonnina e sopra una piccola croce. Purtroppo la giornata ha fatto in tempo ad annuvolarsi, e la vista di gran parte del mare e delle Alpi Apuane non mi è concessa; in compenso si scorge bene il Golfo della Spezia con le due isolette, e dall'altra parte, più lontani, i profili delle Alpi più vicine e dei monti Euganei.

La mia salita è durata un po' meno di 3 ore, sono le 11,45 e comincio la discesa per un altro itinerario. Seguo il sentiero 00 del crinale che con semplici saliscendi mi conduce sino al passo Paitino, 1765 metri. Qui, oltre agli unici escursionisti della giornata oltre me, incontro un bivio: il sentiero 00 scende verso il lago del bicchiere aggirando un tratto di crinale molto scosceso; a sinistra invece comincia quel famoso 737 che avevo trascurato dalla Sella di Rocca Pumacioletto.
Si tratta di un tracciato molto panoramico, che segue a grandi linee lo spartiacque tra val Parma e Cedra. E' soprattutto la prima parte quella più bella: a sinistra c'è il crinale del lago Santo, dominato dal Marmagna; in fondo alla valle si intravedono i Lagoni, mentre a destra si può ammirare dall'alto il circolo glaciale attraversato prima col sentiero 711.

Il sentiero comincia ad essere leggermente pericoloso soltanto quando abbandona il crinalino, e attraversa dei prati con l'erba alta abbastanza inclinati ed esposti; in seguito riguadagna la quota persa con una breve ma ripidissima (e sporca) salita, che mi conduce sulla modesta cima di Rocca Pumaciolo, 1711 metri. Impressiona soprattutto l'incombente dirupo della "Rocca" sorella, leggermente più bassa, proprio di fronte a me.

Ora il sentiero scende con decisione, rituffandosi nel bosco, e devo badare a non scivolare. In breve raggiungo la Sella di Rocca Pumacioletto, dove mi ricongiungo al 711 e riprendo a ritroso il percorso dell'andata verso il passo della Colla. Nel frattempo mi avvertono che a valle piove... riesco comunque a tornare alla moto all'1,20 circa senza avere preso una goccia.